Nel mese di gennaio, per prepararci in modo adeguato alla “Giornata della Memoria”, noi studenti della classe Prima Liceo abbiamo partecipato con i nostri professori a due diverse attività, entrambe molto significative seppure per motivi diversi.

Nella prima occasione, il 22 gennaio, ci siamo recati al Teatro delle Moline per un laboratorio dal titolo “La zona grigia”, incentrato sul saggio “I sommersi e i salvati” di Primo Levi.

Qui, grazie alle testimonianze scritte e alle riflessioni guidate dagli attori, ci siamo soffermati sul tema della vita nel ghetto di Lodz, in Polonia, durante la seconda guerra mondiale, aggiungendo nuove informazioni a quello che già conoscevamo sull’argomento: in particolare, è stato interessante scoprire che il ghetto era una sorta di mondo parallelo a quello tedesco, con un diverso sistema economico e una diversa moneta, e soprattutto con un presidente ebreo, nominato dai gerarchi nazisti, che fungeva da tramite con loro. A Lodz questa figura era impersonata da Chaim Rumkowski, un ebreo come gli altri, che si sentiva però superiore, facendosi chiamare “il re dei Giudei”, e che amava molto il potere che gli conferiva la sua posizione di capo: si era addirittura fatto costruire una carrozza per girare all’interno del ghetto e invitava i bambini nelle scuole a scrivere temi su di lui. Il suo atteggiamento di collaborazione con gli invasori e l’autorità che esercitava all’interno del ghetto sono stati il punto di partenza per la nostra discussione: vittima o carnefice? O forse entrambi? Per usare le parole di Primo Levi, “come Rumkonwski, anche noi siamo così abbagliati dal potere da dimenticare la nostra fragilità essenziale: col potere veniamo a patti, volentieri o no, dimenticando che nel ghetto siamo tutti, che il ghetto è cintato, che fuori del recinto stanno i signori della morte, e che poco lontano aspetta il treno”.

La riflessione si è quindi spostata su di noi e sui nostri comportamenti nella quotidianità, sulla nostra “zona grigia”, che si crea ogni volta che non osiamo prenderci una responsabilità, che ci pieghiamo ad una prepotenza e la tolleriamo, pensando che non ci riguardi.

Il 29 gennaio siamo poi andati al Museo Ebraico e abbiamo passeggiato con una guida per le strade del ghetto di Bologna. La visita è iniziata con l’analisi delle caratteristiche fondanti della cultura ebraica in generale, per poi entrare nello specifico di quella in Emilia Romagna, attraverso mappe, foto, documenti e materiali.

E’ stato interessante scoprire come la comunità locale fosse composta per lo più da famiglie arrivate dall’Italia centrale e che il loro insediamento in zona fosse stato favorito dalla via Emilia. Le testimonianze più antiche che noi possediamo a riguardo si riferiscono ad un esteso cimitero di età medievale, ritrovato in via Orfeo, dove 408 tombe di uomini, donne e bambini raccontano la storia di una ricca comunità fino alla metà del 1500, quando improvvisamente tutto cambia: le bolle di Papa Pio V autorizzano la distruzione dei cimiteri ebraici in città e impongono l’istituzione di ghetti destinati ad accogliere solo persone di fede ebraica.

E proprio qui, nel ghetto di Bologna, abbiamo concluso la nostra uscita: ci siamo aggirati tra le strade strette e buie che anticamente venivano chiuse ogni sera con dei cancelli e che segregavano al loro interno le persone considerate diverse e siamo passati davanti alla presunta sede dell’antica sinagoga, dove veniva celebrato lo Shabbat.

In sintesi, le nostre due esperienze legate al mondo ebraico ci hanno portato a riflettere in modo diverso sulle stesse tematiche: dal un lato, al Museo, dal punto di vista storico (a cui ci avevano preparato anche i professori in classe, partendo dall’antica Palestina del secondo millennio a.C.); dall’altro, a teatro, dal punto di vista “ideologico”, riflettendo sulle dinamiche che muovono l’animo umano nella scelta (o non-scelta) tra il bene e il male, tra il bianco e il nero.

Ancora oggi, “se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto, può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte e oscurate: anche le nostre.“ (Primo Levi).

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